Fino ad ora mi sono dedicata prevalentemente a fornire indicazioni per far star meglio i nostri bambini. Ora mi piacerebbe parlare un po’ del benessere di noi genitori, essendo ovvio che i nostri piccoli dipendono da noi, fino ad una certa età, anche emotivamente…
Innanzitutto mi preme dire che, se non è facile essere un bambino, non è neanche facile essere “un buon genitore”.

Anche in letteratura sono stati tanti gli autori che hanno parlato di questo tema, già a partire dagli studi pionieristici di John Bowlby considerato a buon conto uno dei tre o quattro più grandi psicoanalisti del ventesimo secolo. Egli ha avuto un notevole influsso su un gran numero di discipline specialistiche come la pediatria, la psicologia dello sviluppo, il servizio sociale, la psichiatria.
Nel suo bellissimo libro del 1988, che io trovo ancora attualissimo, dal titolo “Una base sicura. Applicazioni cliniche della teoria dell’attaccamento”, l’autore ci illustra la sua teoria dell’attaccamento. Essa nasce da un esplicito interesse verso i primi anni di vita dell’essere umano e, più in generale, dei mammiferi.
Egli sostiene che “l’attaccamento è parte integrante del comportamento umano dalla culla alla tomba”. Ed inoltre:
“Se il fatto che i bambini piccoli non siano mai completamente o troppo a lungo separati dai loro genitori fosse diventato parte della tradizione, allo stesso modo in cui il sonno regolare e la spremuta d’arancia sono diventate consuetudini nell’allevamento dei piccoli, credo che molti casi di sviluppo nevrotico del carattere sarebbero stati evitati.” (John Bowlby)
In poche parole, per chi non riesce a guardarsi libro, il comportamento di attaccamento è quella forma di comportamento che si manifesta in una persona che consegue o mantiene una prossimità nei confronti di un’altra persona, chiaramente identificata, ritenuta in grado di affrontare il mondo in modo adeguato.
All’inizio della vita l’essere nutriti equivale all’essere amati, il bisogno biologico legato all’alimentazione è presente insieme a un altro bisogno, anch’esso fondamentale, quello di essere amati, nutriti d’amore, di essere desiderati, voluti, accettati per quello che si è.
Già da queste poche righe si capisce l’importanza del compito che ci spetta nell’esercizio della genitorialità e quanto sia nostro dovere cercare di stare “sufficientemente bene” per essere mamme e papà “sufficientemente adeguati”.
Anche in questo caso non ci sono ricette miracolose, ma se ci dovessimo accorgere di non sentirci psicologicamente ok, dovremmo avere l’umiltà di dirlo principalmente a noi stessi, accettarlo e pensare poi ad un aiuto. Già metterci in discussione e accettare i propri limiti, può essere il primo passo per sentirci meglio…
Il fatto è che una buona relazione con un bambino è radicalmente diversa da una relazione bilanciata fra due adulti, dove ognuno può supportare a vicenda i bisogni dell’altro. Una volta che avremo compreso quali diverse regole applicare, saremo in grado di far sì che i nostri stessi bisogni siano soddisfatti all’interno di questa relazione “sbilanciata” , anche se, allo stesso tempo, staremo insegnando ai bambini a diventare socialmente sensibili, in altre parole a comprendere le necessità degli altri. Spesso le aspettative non realistiche da parte di alcuni genitori verso i propri figli, derivano proprio da una mancanza di sostegno delle esigenze emotive degli stessi adulti. Oggi viviamo in una società fortemente individualista, dove cercare il sostegno altrui viene vissuto immancabilmente come una carenza, una forma di debolezza.
Concludo allora dicendo che riuscire a chiedere aiuto, non necessariamente ad un professionista esterno, ma anche ai propri parenti o amici è il primo passo per aiutare a stare meglio anche i nostri figli.
Mi piacerebbe sapere cosa ne pensate al riguardo e continuare un confronto sul tema nel mio prossimo articolo.